La danza crea, abita e interpreta lo spazio ma ha bisogno di un luogo per le relazioni
di Stefania Zepponi


Lo spazio è un concetto fondamentale per la danza nel momento in cui la consideriamo come l’organizzazione dei corpi nello spazio e nel tempo.

Possiamo dire che la danza genera, abita e interpreta lo spazio.

Pensiamo a un corpo dritto sull’asse, con le braccia distese lungo i fianchi e i piedi in linea con le anche; immaginiamo ora che sollevi un braccio lateralmente aprendo uno spazio nuovo che prima non esisteva, uno spazio che emozionalmente possiamo identificare con un’apertura, uno svelamento, un’occhieggiare o qualunque altra emozione o sensazione che il contesto e la nostra sensibilità possono richiamare. E se il braccio si abbassa chiudendo lo spiraglio che aveva aperto e magari nel suo movimento sorpassa il corpo e apre un nuovo spazio dall’altra parte creando anche un vettore di direzione? Se pensiamo alle infinite combinazioni di movimenti che il corpo nel suo insieme e nelle sue parti può compiere, possiamo facilmente immaginare quanto spazio multiforme può creare intorno a sè. La cinesfera di Laban ce ne può dare la dimensione.

Se ora posizioniamo quel corpo in un luogo, scegliendo un determinato punto di quel luogo, magari lontano da noi e per esempio alla nostra destra, l’evidenza ci trasmette un cambiamento nello stato di quel luogo, che non sarebbe uguale se il suddetto corpo fosse vicino a noi e alla nostra sinistra. E se i corpi fossero tanti? E se fossero sparsi nelle loro solitudini? Se fossero addensati magari nell’angolo più lontano della nostra osservazione? Ecco allora che i corpi, abitando un luogo, creano uno spazio che, come scrive Rossella Mazzaglia, è “lo scarto tra l’azione dell’occhio e quella del corpo”. Quando questo abitare diventa consapevole, abbiamo il primo passo verso la costruzione coreografica.

Nella storia della danza teatrale, lo spettacolo di danza è comunemente pensato all’interno di un teatro. Se andiamo più indietro nel tempo, o pensiamo alle danze popolari o a quelle rituali, riscontriamo che in realtà lo spazio della danza non si identifica con un luogo specifico e istituzionale. La tendenza contemporanea a portare la danza nelle città, nella natura, in gallerie d’arte o musei e comunque in ambienti con altra e diversa funzione e fruizione sociale, apre alle riflessioni su come la danza possa e debba interpretare questi diversi luoghi offrendoli a nuovi sguardi che li facciano uscire dalla quotidianità. Inventare quindi uno spazio nuovo che si nutra dell’architettura, della storia stratificata del luogo in dialogo con i corpi che lo abitano.

Ho letto da qualche parte che “lo spazio” è l’astratto e “il luogo” è il concreto, ha a che fare con la memoria, con le emozioni e i desideri, ha a che fare con le relazioni. La danza genera, abita e crea lo spazio ma ha bisogno di luoghi dove poter vivere e crescere, luoghi anche qui non convenzionali che non creino divisioni o particolarità, che non vogliano affermare ma dialogare e non solo tra diverse tecniche e poetiche. Luoghi in cui la danza possa incontrare altri ambiti, altri interessi nutrendosi e nutrendo.

 

 

 

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