Il punto di vista

Anche quest’anno sono stata inviata a partecipare alla manifestazione Vision Work in veste di docente per condurre un laboratorio che avrebbe dovuto essere rivolto a docenti di danza, come anche a docenti in discipline motorie ma, non essendoci un numero sufficiente di iscrizioni, il laboratorio si è svolto con la partecipazione di un gruppo di giovani allieve che studiano danza contemporanea e danza classica.
C’è una certa coerenza e dunque fluidità tra il comportamento dello staff organizzativo della manifestazione Vision Work e quello delle giovani allieve che hanno seguito il laboratorio da me condotto. Dal primo ho ricevuto, in queste come in altre occasioni di collaborazione, un’ affettuosa e professionale accoglienza; dalle giovani allieve, una “partecipata presenza” al lavoro, presenza che si è espressa attraverso una costante attenzione e concentrazione che ha consentito loro di avviare o portare avanti un proprio processo di ricerca e questo ha qualificato l’atmosfera dei due giorni di lavoro.
Mi sembra così che in questo contesto siano presenti e connessi i tre ambiti fondamentali che la danza promuove: quello educativo (dal latrino e-dùcere; trarre, condurre fuori) e quello formativo (darsi una forma) attraverso i quali è possibile accedere ad un terzo, quello per-formativo (trovare una forma per esprimere e quindi comunicare ad altri).
La coerenza di cui parlavo sopra è determinata dal fatto che chi sta lavorando per l’organizzazione e la realizzazione di Vision Work (Stefania Zepponi e Viviana Falcioni) opera conoscendo bene la distinzione e la connessione tra i tre ambiti e opera in una continuità di tempo e di spazio (da molti anni, sul territorio di Ancona e provincia) come anche in una molteplicità di forme (l’insegnamento, l’organizzazione di manifestazioni, eventi, dibattiti ecc..ecc..) che consente di riscontrare ad uno sguardo esterno (il mio) come questa coerenza sia presente nel comportamento di persone diverse che operano a livelli diversi in questo contesto.
Mi sembra necessario dunque che la manifestazione Vision Work possa continuare a “muovere” e promuovere la pratica e la riflessione sulla danza contemporanea, come mi sembra necessario far germogliare e crescere ciò che si è seminato…

Ketty Russo


Intervista

Abbiamo fatto una chiacchierata con Ketty Russo, danzatrice con una lunga carriera alle spalle, che ha conseguito presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma il diploma accademico di secondo livello come docente in discipline coreutiche, indirizzo danza contemporanea, con una tesi sull’ applicazione dell’Approccio Biotransazionale all’insegnamento della danza. L’Approccio Biotansazionale, pur se di recente introduzione, può essere considerato una delle tecniche cosiddette di supporto. Prendendo spunto dall’intervento fatto da Joseph Fontano allo scorso stage Danza Marche “Concetti, creatività e metodo” , abbiamo voluto parlare con lei proprio delle tecniche di supporto e di come questa metodologia possa influenzare un fare, e un modo di porsi nei confronti della danza.

Possiamo iniziare cercando di dare una definizione di cosa sia una tecnica di supporto?
Normalmente ci si riferisce a quelle pratiche che vengono utilizzate per migliorare l’approccio allo studio più prettamente tecnico, e questo non solo nel campo della danza. Se nel percorso formativo sono inserite all’interno del programma della scuola che si segue, quando si diventa professionisti vengono utilizzate per sostenersi nella propria attività in danza. Sono quindi tecniche che hanno a che fare con il movimento e con un lavoro sul movimento e sul corpo; le più comuni sono: Feldenkrais, Alexander, Body Mind Centering, Pilates ; alcune di queste sono nate dalla necessità di affrontare, da parte dei loro inventori, problematiche relative alla loro attività che in alcuni casi non era specificatamente di danza. Alexander per esempio era un attore. E d’altro canto queste tecniche sono state poi applicate in diversi ambiti: riabilitativo, educativo, espressivo.

Nella mia esperienza ho notato che la caratteristica comune di queste tecniche consista nel promuovere una visione più integrale del corpo umano e di mirare soprattutto ad aumentare la possibilità di consapevolezza e conoscenza del proprio corpo.
Certamente. Queste discipline, che fanno riferimento al campo della Somatica, e il loro utilizzo, ormai “ufficializzato” nell’ambito della danza, rispondono al bisogno sempre più diffuso di “vivere più naturalmente” il movimento, soprattutto nei confronti di un apprendimento molto specifico e puntuale come può essere quello di una tecnica di danza. E’ questo bisogno che ha stimolato insegnati, danzatori, coreografi ad entrare in contatto con quelle pratiche che mirano allo sviluppo e alla consapevolezza di sé nel movimento. Già nel 1976 Thomas Hanna coniò il termine SOMATICS per nominare tutti quei metodi che mirano all’integrazione funzionale corpo/mente; la Somatica può essere intesa come una filosofia basata sul principio secondo cui puoi usare il corpo per avere esperienza della mente e puoi usare la mente per avere esperienza del corpo. Quindi possiamo dire che c’è sicuramente un’attenzione all’individuo nella sua interezza.

Queste tecniche sono nate insieme alla danza contemporanea, nel momento in cui i danzatori hanno sentito molto forte il bisogno di non sentirsi solo corpi al servizio di un coreografo ….
Le tecniche erano già nate, diciamo che il bisogno ha spinto a cercare al di fuori dell’ambito più ristretto della danza. La cosa interessante oggi è che oltre ad esserci istruttori di queste discipline spesso ci sono danzatori, docenti, coreografi che, avendo fatto dei percorsi formativi in queste tecniche, integrano la loro esperienza e la loro conoscenza nel campo della danza con quanto appreso in questi altri ambiti e quindi il loro lavoro diventa frutto di questa integrazione; e così l’allievo riesce ad avere delle informazioni più coerenti.

Questo è un punto importante: l’integrazione tra i due percorsi formativi.
Si infatti. In fondo qual è lo scopo? Lo scopo è quello di prendere in considerazione l’allievo come un individuo e non come parti di un corpo che devono fare qualcosa piuttosto che qualcos’altro. Quindi un individuo nella sua interezza, nella sua complessità e non nelle sua parzialità e questa è una visione, un atteggiamento che dà l’opportunità di cogliere e sostenere degli aspetti del movimento piuttosto che degli altri. La cosa auspicabile sarebbe che un insegnante possa avere praticato ed esperito (nel) sul proprio corpo e dunque conosciuto qualcuna di queste pratiche, che possa avere fatto e continui a fare un percorso e non solo un’esperienza di approccio, perché questo è l’unico modo per avere degli strumenti di trasmissione.

Trovo che quello che dici sia profondamente giusto: queste tecniche spostano il punto di vista sul corpo e questo implica l’aver fatto un percorso, altrimenti tutto ciò che resta è una somma di esercizi da praticare senza capirne la visione che li ha fatti scaturire.
Certo anche questo è un punto nodale. L’importante è il come e non tanto il cosa viene trasmesso. Il cosa è sicuramente importante ma il come determina l’esito.

Perché hai scelto di perseguire questa metodologia tra le tante?
In realtà l’ho incontrata in seguito a un trauma, e il fatto di averla incontrata non è stato sicuramente un caso. Precedentemente avevo molto cercato tra pratiche alternative che mi consentissero soprattutto di preservarmi dai più o meno gravi incidenti nei quali incorrevo. E con questa pratica scoprii che non solo riuscivo a preservarmi, ma che col tempo migliorava la mia prestazione tecnica ed espressiva. Così ho cominciato ad intravedere delle possibilità: recuperare connessioni interne dunque articolarità, mi consentiva di preservarmi e di evolvermi.

Tu hai fatto un percorso di formazione nella Metodica Biotransazionale e cercato poi una possibile integrazione con la danza. So che la teoria è molto complessa ma ce la puoi sintetizzare?
La Metodica Biotransazionale deriva da un modello teorico messo a punto da Flaminio Brunelli; tale modello descrive il funzionamento dell’essere vivente e considera l’individuo come unità sintetica, connettendo i fenomeni fisici biologici e chimici con quelli psico-dinamici; il corpo quindi non ha un’intelligenza ma è un’intelligenza e il movimento articolare è concepito come il fattore principale per il mantenimento dell’equilibrio che garantisce il benessere. Tale modello prende in considerazione il movimento da un punto di vista biologico e ne riesce a fare un’analisi.

Come ha influito la tua formazione in Metodologia Biotransazionale nel tuo percorso come insegnante di danza?
Sicuramente ha inciso moltissimo sulla mia attività di docente per tanti aspetti che si concretizzano nel mio modo di essere in classe, in quello che faccio, come lo faccio, nella capacità di osservare e di cogliere alcuni aspetti degli studenti, di come indirizzarli e sostenerli, di cosa dargli o non dargli e questo è dovuto al fatto che l’Approccio BT implica una pratica sostenuta da una teoria e dunque da una filosofia. A questo proposito desidero citare le parole di Flaminio Brunelli che diceva:” una pratica senza teoria è una pratica che non sa dove sta andando, come una teoria senza pratica è per solito una favola. Una tra le opportunità che ho ricevuto da questi studi è relativa all’osservazione, essere in grado di coglierne l’importanza e soprattutto esercitarsi ad utilizzare modalità adeguate con le quali osservare. Prendere in considerazione l’individuo nella sua complessità e nella sua interezza significa ricondurre ad un contesto (individuo) una qualsiasi osservazione parziale. E questo vale per l’aspetto biomeccanico come per quello affettivo-relazionale.
Una grande rivoluzione in me è stata determinata dalla descrizione che il modello BT fa del movimento, definendolo un evento intrinseco all’organismo determinato da necessità interne di questo stesso organismo. Dunque, il movimento come necessità intrinseca per ogni essere vivente.

Praticamente nel lavoro in classe cosa proponi?
Propongo esercizi specifici che promuovono la consapevolezza del proprio asse e del proprio allineamento, e che aiutano a recuperare la mobilità del diaframma per migliorare la dinamica ventilatoria. Infatti è da questa mobilità che dipende l’organizzazione tensiva di tutta la muscolatura, quella più profonda e quella più superficiale ed è dunque la premessa per recuperare coerenza è fluidità nel movimento, che sono poi l’anima dell’abilità. A questi esercizi affianco esercizi di tecnica di danza necessari alla creazione di un adeguato bagaglio tecnico da fornire agli allievi i quali sperimentano come applicare la ricerca fatta attraverso gli esercizi BT e valutarne l’efficacia. Propongo anche esperienze di improvvisazione utili all’esplorazione delle qualità del movimento e alla ricerca di “sentirsi” nel proprio movimento (ricerca agevolata dalla mancanza di una forma alla quale fare riferimento .

Tu applichi questa metodologia sia con adulti che con bambini in lezioni di classico e di contemporaneo. Cosa hai potuto notare dopo un periodo di lavoro?
In generale quello che posso rilevare è che stimolando la consapevolezza di sé ognuno diviene più responsabile delle proprie scelte e conseguentemente recupera, scopre e nutre il piacere di esprimersi attraverso il movimento, e questo diviene un sostegno per una motivazione autentica. Sono importanti gli obiettivi ma ancora di più i mezzi poiché necessario è creare le condizioni, il resto viene da se. Ritengo sia fondamentale offrire a chiunque si avvicini allo studio della danza, indipendentemente dallo stile o dal contesto (professionale o amatoriale), gli strumenti per lo sviluppo del personale processo tecnico-espressivo. D’altronde esprimersi è un bisogno primario per l’essere umano…

 

 

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