La riforma del Terzo Settore: salvagente o tsunami?
di Francesca Cervati


All’interno della nostra associazione si è aperto da tempo un dibattito su pregi e difetti della riforma del terzo settore. Ci piace infatti riflettere sulle cose che accadono, a noi ed intorno a noi, guardandole sempre con un po’ di distacco, cercando di osservarle in termini generali e non solo per quello che influenza direttamente il nostro quotidiano.

C’è chi, più propenso a cercare un possibile ruolo positivo delle norme, apprezza l’ordine che la riforma ha tentato di fare nel complesso panorama associazionistico, da un lato dal punto di vista fiscale (anche se sotto questo aspetto l’attuazione della riforma non è conclusa), soprattutto con l’uniformare i modelli di bilancio, dall’altro e ancor più con il chiaro riconoscimento del ruolo dei CSV (i Centri di Servizio per il Volontariato) nel supporto, nell’elaborazione dei modelli e nell’organizzazione della formazione che possa accompagnare gli Enti del Terzo Settore nel mettere in atto il cambiamento richiesto, ma anche, più in generale, nel nascere e crescere all’interno di questo panorama normativo.

D’altro lato, però, non possiamo non osservare come l’adeguamento alla Riforma richieda comunque molte energie e competenze e finisca con il mettere in affanno le piccole realtà esistenti, a partire dalle associazioni culturali e dalle realtà che organizzano spettacolo dal vivo.

La logica di fondo appare a molti essere quella di fare chiarezza ed ordine e chiedere agli ETS di strutturarsi sempre di più, in modo da poter poi attribuire loro un ruolo sempre più importante, anche nella fornitura di servizi sociali, integrando quelli che la Pubblica Amministrazione non riesce a fornire a tutti i cittadini (registrando di fatto un processo già da tempo in atto). 

Questo può sembrare un meccanismo di accettazione della nostra realtà, che prende atto della sua complessità, portando in sé il desiderio di offrire un pieno riconoscimento, anche normativo, alle energie tanto generosamente spese da cittadini che desiderano partecipare attivamente alla società in cui vivono, affermando la propria presenza e utilità sociale, e che trovano la forza di organizzarsi per fornire servizi sociali e culturali. Parallelamente ci vorrebbe però un riconoscimento economico, che permetta agli ETS di darsi, come sembra evidente che la Riforma richieda, una struttura quasi imprenditoriale.

E forse solo questo potrebbe aprire ai giovani, i quali, con tutte le difficoltà di collocamento anche economico che incontrano in questo Paese e nell’odierno modello di sviluppo (la cui messa in discussione sarebbe quanto meno necessaria), possono essere spinti ad impegnarsi nel sociale da un’opportunità di non spendere le loro energie senza alcun rientro economico.
Perché, diciamocelo, di energie ce ne voglio davvero tante, nel nostro Paese, per qualsiasi iniziativa si intenda intraprendere.

Ma le realtà storiche e le piccole realtà, in tutto questo, come si collocano?

E lo spazio per la creatività?

Le realtà storiche, infatti, che avrebbero forse meno necessità economiche, avendo già imparato ad organizzarsi per farne a meno (la vecchia guardia è indubbiamente indistruttibile!), spesso sono anche piccole e presentano una carenza di giovani all’interno della loro compagine; di conseguenza sono sicuramente penalizzate dall’obbligo di dotarsi degli strumenti informatici richiesti dalla maggior parte delle procedure... e se volessero chiedere aiuto all’esterno troverebbero i CSV, ma forse il loro supporto non sarebbe sufficiente... e allora, per non chiudere, dovrebbero trovare il modo di essere più accattivanti per i giovani (che però può essere che preferiscano “fare la loro strada”) o aumentare le spese, chiedendo servizi a pagamento…

Di certo, rinunciare all’apporto dei cittadini più maturi, in questa società, sarebbe davvero un peccato, considerato che, per fare un esempio qualsiasi, conosciamo molti anziani, anche ultra-ottantenni, che dedicano il tempo libero a servizi culturali o sociali, anche rivolti agli anziani!

Sarebbe triste e stupido mandarli doppiamente in pensione (con conseguenze negative sulla loro salute e anche per il servizio sanitario nazionale).

Per non parlare di quanto possa essere preziosa la ricchezza umana e culturale che offre a tutti uno scambio intergenerazionale, dimostrando inoltre il livello di maturazione raggiunto da una società.

Analogamente, le nuove realtà, le realtà in nuce, non ancora formate, rischiano di arenarsi di fronte allo “scoglio burocratico” che gli si para davanti. Il pensiero creativo, infatti, ha meccanismi molto diversi da quello razionale e spesso viene danneggiato da uno spostamento su tale piano.
Si potrebbe ipotizzare che una realtà associativa nascente deleghi fin dall’inizio all’esterno tutta la parte amministrativa? E come potrebbe farlo, senza risorse economiche? Tra l’altro, è questo il percorso corretto?

Perché la nascita, la crescita, la sperimentazione hanno bisogno di spazi informali, sia mentali che fisici, cui non si può pensare che il terzo settore rinunci del tutto…


hexperimenta

affiliata

ARCI

dona il 5x1000

Privacy Policy

 

 

contatti