Scrivere la storia della danza: una piccola riflessione
di Rosella Simonari

Cosa significa scrivere la storia della danza? Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi forse cosa sia la storia della danza. E prima ancora cosa sia la storia. La storia studia gli esseri umani nel tempo secondo Marc Bloch ed è una scienza che cammina. La storia studia il passato, ci dice Keith Jenkins ed è in movimento. In sostanza la conoscenza del passato ci aiuta a capire il presente e a affrontare il futuro. Ecco perché la storia è importante

E la danza? La storia della danza? Beh, la danza ha i suoi linguaggi che sono cambiati nel tempo ed è bene poterli conoscere. La danza non esiste in un iperuranio a sé stante, ma è parte integrante della storia. Basti ricordare il ruolo che ebbe il balletto nella Russia imperiale o il ruolo di ambasciatrice della cultura statunitense che ebbe Martha Graham durante la guerra fredda.

Quindi occuparsi di storia della danza è anche occuparsi della storia. Nel mio caso, ho trattato di vari argomenti e, in particolare, ho scritto due libri, uno dedicato ad una coreografia di Martha Graham e l’altro incentrato sul rapporto fra Alberto Spadolini, danzatore pittore ancora poco conosciuto, e la danza. Riguardo a Spadolini posso dire che la ricerca di informazioni su di lui è stata faticosa e interessante. Grazie all’aiuto di Marco Travaglini, nipote e biografo dell’artista, ho potuto ricostruire alcuni aspetti della sua carriera.

Per esempio, Spadolini parla di anarchia in due fonti. Allora quello che ho cercato di fare è ricostruire un po’ il contesto e cercare di capire perché, proprio a seguito del suo successo avvenuto a Parigi alla fine del 1932, poi, all’inizio del 1933, parlò di anarchia, un termine controverso nella Francia dell’epoca. Così ho scoperto che nel 1914 Spadolini, che era un bambino, si trovava ad Ancona quando scoppiò l’insurrezione che va sotto il nome di Settimana rossa e dove parteciparono anche gli anarchici. Poi ho notato che ad Ancona in quel periodo c’era anche Errico Malatesta, un esponente di primo piano del movimento anarchico italiano. Spadolini ebbe modo di conoscerlo? Malatesta si trovava a Roma negli anni Venti, quando anche Spadolini viveva nella capitale. Sono solo coincidenze o c’è dell’altro? Al momento non è chiaro. In più nel 1927 gli anarchici Sacco e Vanzetti vennero giustiziati ingiustamente dal governo statunitense e questo creò molto clamore. Tutti questi elementi confluiscono nell’uso che Spadolini fa del termine anarchico. Senza contare che Spadolini associa questo termine alla danza, ponendo forse la questione di una danza anarchica dove non vi sia una tecnica centralizzata, ma una pluralità di tecniche utilizzate secondo il metodo dell’improvvisazione, molto caro a Spadolini. Si delinea in questo modo un percorso che sussiste fra storia e storia della danza in una confluenza di rimandi fecondi.

Perché ho scritto questo libro? E perché ho scritto l’altro libro, quello su Martha Graham? Perché in entrambi i casi si trattava di questioni poco conosciute e che meritavano di essere raccontate e analizzate. Oggi vediamo il corpo di Roberto Bolle e pensiamo alla sua bellezza statuaria, ma prima di lui ci furono altri danzatori e in particolare ci fu Alberto Spadolini il cui corpo veniva spesso paragonato a quello di una statua. Oggi leggiamo le poesie di Emily Dickinson e in molti non sanno che Martha Graham nel 1940 creò una coreografia proprio su Emily Dickinson, quella che analizzo nel mio libro. Con questo lavoro Graham anticipò le interpretazioni che si daranno di Dickinson negli anni Settanta, quindi è importante conoscere questa coreografia.

Scrivere la storia della danza significa infine anche avviare delle conclusioni aperte, in quanto, come dice Carolyn Steedman, “qualche nuovo elemento di informazione potrebbe alterare il resoconto che è stato dato”. Un nuovo documento, un’angolatura diversa tramite cui analizzare il lavoro fatto, insomma nuovi dispositivi potrebbero mettere in discussione quello che è stato detto, per cui la storia della danza, come anche la storia in sé, non si conclude mai, è piuttosto un processo di scoperta continua.

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