Danza a passo di brividi
di Giovanni Purpura


1977
Danza e horror: un inaspettato passo a due che tuttavia è vincente. Quali sono i presupposti per un’accoppiata così strampalata? Prendiamo due film che non hanno bisogno di presentazioni: il “Cigno nero” di Darren Aronofsky o “The Red Shoes" diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger. In entrambi i film la danza diviene metafora di follia. Se da un lato ne “Il cigno nero” abbiamo la follia indotta dalla competizione tra compagne, in un turbinio dove amore e violenza sono spesso purtroppo sinonimi, su “Scarpette rosse” abbiamo invece la follia indotta dalla passione. Che la danza sia spesso utilizzata come metafora della follia non ci sorprende: unisce infatti la razionalità della precisione dei passi alla totale irrazionalità dei sentimenti che ci provoca sia assistere ad uno spettacolo di danza, sia danzare. Oltretutto è un mondo nell’immaginario collettivo prettamente femminile, speso associato all’occulto, al segreto, allo stregonesco.
Ma a livello psicologico quello che più ci tocca è estremamente terreno.
Da un lato, vedere coreografie portate all’estremo, corpi sfigurati e contorti va a toccare profondamente i neuroni a specchio che regolano paura e disgusto, lo sa bene quel filone cinematografico conosciuto come body horror.
Dall’altro lato, all’opposto, la perfezione della danza, quando raggiunge il suo parossismo, ci appare contemporaneamente sia appetibile e desiderabile, che aliena e innaturale. Le dinamiche fin qui citate raggiungono la loro rappresentazione quasi scolastica in un film del 2018, il remake di “Suspiria” firmato da Luca Guadagnino.


PALAZZI DI LACRIME
Nel film del 1977 diretto da Argento vediamo una trama scarna all’essenziale, una colonna sonora ad opera dei Goblin che ha fatto storia, e la fotografia di Tovoli che rendono il racconto una favola moderna e spaventosa.
Guadagnino riprende la trama (una giovane danzatrice, interpretata da Dakota Johnson) si trasferisce a studiare in una Tanz Akademie tedesca al soldo di insegnanti che poi si scopriranno essere streghe. Ma le similitudini finiscono qua. Nonostante l’attenzione alla colonna sonora, ad opera di Tom Yorke e, come nel caso dell’opera dei Goblin, godibilissima anche per un ascolto in cuffia, la trama è densa e ricca di filoni narrativi: ci troviamo infatti nella Berlino 1977, dove imperversava la banda sovversiva Baader-Meinhof, il filone occulto si lega a doppio filo a quello politico.Ultima tematica affrontata, quella del senso di colpa che molti ebrei han provato nel dopoguerra per essere sopravvissuti ai propri cari.
Ma il tema centrale rimane uno: la danza e il femminile.
La figura femminile è centrale nel film. Infatti l’unico personaggio maschile, lo psicologo Kemplerer, è interpretato da una donna, Tilda Swinton. Non a caso Tilda Swinton interpreta altri due personaggi: l’insegnante di danza Madame Blanche, e la direttrice della compagnia Helena Markos. Questa triade, l’uomo/castrato, la mater amabilis e la mater terribilis rappresenta il perno su cui rotea la storia.


PRENDERE IN PRESTITO/PRENDERE
La figura di Josef Kemplerer rappresenta il maschio fragile: mosso tuttavia da buoni sentimenti, non riesce a vedere ne comprendere le oscure macchinazioni della congrega. Spettatore impotente, rappresenta l’umanità che di fronte alle atrocità della guerra non può fare che rabbrividire per poi far i conti a vita con il senso di colpa


NELLA CASA DELLA MADRE (TUTTI I PIANI SONO TENEBRE)
Helena Markos, strega direttrice e fondatrice della congrega. In questo film infatti le streghe, per effettuare grotteschi incantesimi, hanno un metodo d’elezione: la danza. Consapevoli, come nel caso delle insegnanti. O inconsapevoli, come nel caso delle studentesse. È presto chiaro che l’unico intento di Helena Markos è quello di spremere le sue allieve fino all’ultimo briciolo di energia pur di raggiungere i suoi scopi.


SUSPIRIORUM
Madame Veva Blanche, dall’altro canto, rappresenta la mater amabilis: la madre che guida le sue ragazza in un mondo che le vorrebbe con la bocca chiusa e le gambe aperte. Disposta a tutto pur di proteggerle, perfino di commettere atti sacrileghi e diabolici. Per il personaggio di Veva Blanche l’ispirazione principale è quella di Pina Bausch, è impossibile non riconoscerla nei suoi movimenti, nei vestiti, nelle acconciature, nelle mille sigarette fumate durante le prove e non solo. Una cosa chiedeva Pina ai membri della sua compagnia: scendere nel profondo della propria vita e metterlo a disposizione della messa in scena. Una sorta di sacrificio del sé in nome dell’arte. Risuona nelle parole di madame Blanche, nel momento in cui asserisce che “quando danza la coreografia di qualcun altro, una danzatrice si deve svuotare, eliminarsi per far spazio al creatore della coreografia”. Una forma di amore che se pur distorto e perverso, è amore
Nella psicologia Kleiniana, i bambini (e purtroppo, anche gli adulti spesse volte) tendono a scindere l’oggetto del loro amore, non potendo conciliare che ciò che a volte appaga i loro bisogno è lo stesso ente che li frustra. Per questo, la figura della Madre deve essere scissa in due per adattarsi alle loro narrazioni: vi siete mai chieste perché, nelle favole, la strega cattiva e la fata turchina non compaiono mai nella stessa scena? In Suspiria vediamo esercitata questa scissione: da un lato Markos, mater terribilis invidiosa della giovinezza delle sue fanciulle, disposta a divorarle da brava strega cattiva. Dall’altra Veva Blanche, la mater Amabilis che nutre e perdona.

 

UNA PERA A FETTE
Ma in tutto ciò, quando arriva la danza?
Sin nelle prime fasi del film notiamo l’impegno di Guadagnino nel renderla centrale. Per rendere la narrazione più autentica e realistica, Guadagnino ha scelto di lavorare con ballerine professioniste anziché con attrici che si sarebbero limitate a imitare i movimenti. Questa scelta si è rivelata fondamentale per l'effetto finale del film. Le ballerine portano con sé la grazia e la precisione del loro mestiere, conferendo alle sequenze di danza un senso di autenticità e intensità unico.
A curare le coreografie è Damien Jalet. Il coreografo si è ispirato per la coreografia centrale del film, il rituale-performance “Volk” (popolo), ad una sua precedente opera, “Le Tre Meduse”. Il popolo rappresentato da Volk è quello femminile: le ragazze ballano seminude in una danza che è quasi un sabba. I movimenti sono spezzati, frenetici e convulsi, tuttavia chiusi in uno schema rigidissimo che non lascia spazio a improvvisazioni.
Da qui anche nella danza si affaccia il dualismo della Madre: quando possiamo considerarla come uno strumento che vuole incatenare e codificare i nostri corpi e movimenti portandoli lontano da noi come una madre matrigna? E quando invece diventa strumento per scoprire se stesse, le proprie necessità interne, come ci permette di fare quella Mater Amabilis che cresce le proprie figlie secondo le loro naturali inclinazioni?
Ma, sopratutto, c’è possibilità di crasi tra i due aspetti?
Per scoprilo non vi resta che vedere Suspiria.

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