La danza al cinema
di Roberto Nisi


Ben prima dell'apparizione sugli schermi televisivi italiani delle germaniche gemelle Kessler, negli Stati Uniti, ad Hollywood, era una gara di bravura tra il duo Nicholas Brothers ed il trio dei Berry Brothers. Artisti afro-americani, campioni di tap dancing, si sfidavano sugli schermi in acrobazie “tira applausi” mirabolanti. La danza spettacolare, fascinoso monumento alla sincronia, atletismo e specularità, è probabilmente l'esempio più lampante, e classico, del rapporto tra cinema e ballo. I quadri musicali che li vedevano protagonisti, perché di quadri musicali si trattava agli esordi della settima arte, erano principalmente inserimenti di performances trasportate dalla scena teatrale dei clubs newyorkesi sui palcoscenici dei set degli studios di Los Angeles. Poi, negli anni, l'inserimento della danza si svilupperà in modi e forme narrative sempre più integrate e complesse portando a film capolavori, su tutti quelli diretti Vincent Minnelli e Stanley Donen. Eppure, la matrice, resterà sempre ancorata alla natura d'eccitante per lo sguardo del pubblico. Ed è forse questa anche la forma più longeva, perché immediata nel “riscaldare” ed euforizzare lo spettatore. La si trova tanto nell'impromptu di Tom Cruise, camicia rosa abbinata a mutanda e calzino rigorosamente bianchi, di Risky Business, quanto nell'elaboratissimo piano sequenza tra il traffico losangelino della sequenza d'apertura di La La Land. Poco importa quanto complesso tecnicamente, o quanto studiatamente improvvisato possa essere l'inserto musicale, la finalità è sempre quella di generare energia nella platea. È una coreografia tanto emotiva quanto narrativa ma pur sempre nel solco della funzione Prozac del cinema.

Diverso, assai diverso, è il caso della danza il cui linguaggio viene riscritto per il cinema mentre ne ridisegna i confini della visione. La macchina da presa non si limita, in questi casi, ad essere quarta parete ma diviene cornice entro la quale il coreografo e il regista amplificano, fanno esplodere, i corpi ed il movimento. È un effetto MDMA. Da Busby Berkeley a Jerome Robbins, da Maya Deren (autrice di quello che è considerato il primo film di danza, A Study in Coreography for Camera) a Bob Fosse, da Jean-Luc Godard (guardare Una Femme est Una Femme per capire come reimmagina l'idea stessa di musical) a Ken Russell (nel delirante The Boyfriend è capace di omaggiare Berkeley e al contempo di farlo deflagrare) passando per artisti quali Derek Jarman (la danza di Tilda Swinton in The Last of England su tutto) ma anche, perché no, per uno dei rari film musicali italiani che non vuole essere mera vetrina per urlatori alla sbarra o scugnizzi da nu jeans e 'na maglietta ma gioca con le possibilità del colore e degli effetti visivi, quale Per Amore, Per Magia di Duccio Tessari.

La danza, come aveva da subito compreso il cinema delle origini, da Thomas A. Edison, ai fratelli Lumière e George Méliès, nonché dalle successive avanguardie storiche, dadaismo e cubismo in primis (perché, cosa sono, se non forme che danzano, i corpi meccanici di Fernand Léger?) era il soggetto perfetto per essere ripreso. La celebrazione del movimento attraverso lo strumento esaltante per eccellenza. Nel 1896, a Roma, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, Auguste e Louis Lumière riprendono un saltarello di pastori ciociari in costumi tipici mentre, nel 1924, René Clair crea un mirabile esempio di film balletto da un soggetto di Francis Picabia e con musiche di Erik Satie, Entr'Acte. A pochi anni di distanza la doppia natura di questo matrimonio tra cinema e danza, suggestione euforica e trascrizione visionaria, si viene da subito delineando e andrà a generare non solo sequenze iconiche che diverranno vere e proprie memorie dello spettatore (capaci di prescindere i film stessi che le contengono) ma anche di penetrare nella cultura popolare. Forse perché, come asseriva Martha Graham, “...Per tutti noi, ma in particolare per un danzatore, data l’intensità con cui percepisce la vita e il proprio corpo, vi è una memoria del sangue che ci parla. In noi scorre un sangue millenario, con i suoi ricordi. Come spiegare altrimenti quei gesti e pensieri istintivi che ci giungono non preparati né attesi? Forse provengono da qualche remoto ricordo di un’epoca in cui regnava il caos, un tempo in cui, come dice la Bibbia, il mondo non era. Poi come se lentamente si fosse aperta una porta, la luce fu. Rivelò cose meravigliose, rivelò cose terrificanti, Ma luce fu.”. La stessa luce che esplode dal buio, che con un fascio luminoso taglia l'aria sopra le teste degli spettatori sino ad imprimere sullo schermo il movimento.

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