ARTE E BENESSERE SOCIALE
di Stefania Zepponi e Giovanni Purpura


La nostra asscoaizione ha raccolto la sfida del Welfare Culturale, il nuovo modello integrato che vede la promozione del benessere e della salute degli individui di una comunità affidata anche agli operatori artistici e culturali impegnati nella creazione di una comunità di supporto.
Il concetto di comunità di supporto si riferisce all'insieme di persone che si riuniscono intorno a un'attività comune, in questo caso la creazione artistica, per sostenersi a vicenda e per trovare conforto nella condivisione delle esperienze.

I progetti in cui la nostra associazione è attualmente coinvolta ci hanno messo in stretto contatto con disagi di vario genere, comuni a età e contesti sociali diversi. Ci hanno offerto quindi un valido pretesto per ragionare su questa problematica e capire come affrontarla affinando nell’esperienza i nostri strumenti. Strumenti che ovviamente utilizzano come media il linguaggio artistico. Nel nostro percorso progettuale quattro sono le materie di elezione che combiniamo e proviamo ad usare in maniera sinergica: l’arte grafico pittorica, la danza, il teatro e la gamification. 

Sono noti e condivisi gli effetti benefici che l’arte infonde in chi la fruisce. Il linguaggio artistico favorisce dall’altra parte  l’espressione del mondo interno di chi crea l’opera, attraverso la realizzazione  di un oggetto tangibile, sia esso grafico o pittorico. L’oggetto che si crea  è libero,  non è vincolato alle regole che caratterizzano per esempioil linguaggio; infatti, la scrittura è più vincolante sia come segno grafico sia come tramite espressivo. L’arte, invece, proprio perché utilizza un linguaggio simbolico e non verbale, permette di rendere più accessibili i propri vissuti e a volte anche a riconoscerli e a misurarcisi, perché quando si prende in mano una matita o un pennello o qualunque altro strumento non si sa bene cosa si produrrà; si lasciano fluire i sentimenti, le emozioni e saranno loro a guidare la nostra mano e a operare delle scelte. Possiamo dire quindi che Il disegno è uno strumento di comunicazione e ma anche di conoscenza.

Un approccio quindi dal respiro democratico e non esclusivista, così come il nostro modo di intendere la danza. La danza appartiene a tutti;  se usciamo dallo stereotipo della danza classica che è forse l’esempio primo che ci viene in mente, se risaliamo indietro nel tempo e collochiamo la danza nella comunità, vediamo che  è nata come ritualità sia in ambito sacro che profano e che le sue modalità sono state riprese dalle attività quotidiane;  nel senso che i gesti del lavoro, i gesti delle attività di ogni giorno sono il materiale che compone le danze delle popolazioni primitive, ma possiamo anche pensare al grande esempio della post modern dance in cui, una volta tolte tutte le sovrastrutture degli accademismi e delle tecniche, si andarono a osservare i movimenti per le strade, nelle fabbriche per avere materiali di movimento su cui lavorare. Vediamo anche che da sempre la danza ha esplicato una funzione aggregativa e di riconoscimento. Il danzare ha anche un altro grande potenziale che è invece legato all’individuo: la riconnessione tra l’aspetto motorio e l’aspetto creativo che è in definitiva la riconnessione tra le parti di cui ogni essere umano è composto: corpo, mente, spirito. 

Il teatro, per sua natura, sia che sia esperito dalla parte del pubblico che dalla parte degli attori, è per convenzione un grande “gioco” collettivo che prevede l’incontro con dei personaggi, il loro vissuto, le emozioni, e un grande conflitto che fa da motore all’azione. Non a caso in molte lingue del mondo il parallelismo tra la dimensione del gioco e del teatro viene sottolineata dalla traduzione della parola “recitare” o “fare teatro” con “giocare” (to play).  

Il gioco va ad assumere quindi per noi un ruolo importantissimo nel confronto con la fragilità e diventa vera impostazione di come affrontiamo ogni fase dei nostri processi artistici. Un gioco condiviso, anche quando maneggia ingredienti complessi e per certi versi terribili, delimita un territorio protetto, un’area simbolica dove si possono toccare emozioni profondissime, affrontare demoni e nemici senza farsi male. A questo proposito, per comprendere la multiforme dimensione del gioco, basti pensare ai bambini: adorano darsi battaglia, usare armi giocattolo, vestire i panni di creature orribili. Tutto ciò per loro non è solo divertente (nell’accezione più emotiva e vivificante), ma è anche catartico e arricchente dal punto di vista dell’esperienza umana, oltre che un grande stimolo per il pensiero creativo. Giocare è una cosa seria.

Al pari del gioco, il teatro non nega l’esperienza del terribile e del dolore (basti pensare alle tragedie greche), ma offre sempre un’occasione di sopravvivenza, di arricchimento e di trasformazione. Di catarsi, quindi.


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